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AiopMagazine n° 12 - dicembre 2015
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AiopMagazine n° 12 - dicembre 2015

Giro di boa

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Giro di Boa - di Gabriele Pelissero

Due anni fa, nel presentare l’11° Rapporto Annuale “Ospedali & Salute” immersi in una fase di forte contrazione della spesa pubblica sanitaria, avevamo osservato con preoccupazione un orientamento a portarla verso il valore del 7% del Pil, da noi ritenuto un limite al di sotto del quale è forte il rischio di non riuscire a tenere il passo con lo sviluppo scientifico e tecnologico dei sistemi sanitari europei più avanzati.
Un anno dopo, a fine 2014, il Patto per la Salute siglato fra Stato e Regioni il 5 agosto dello stesso anno (da noi valutato positivamente non per la quantità delle risorse impegnate ma per la prospettiva di una nuova stabilizzazione triennale del finanziamento per il Ssn), era già posto in discussione aprendo un confronto intenso fra Governo e Regioni, e anche all’interno dello stesso Governo. Dove, seppur nella inevitabile riservatezza, continuano ad affiorare spinte e visioni diverse sul futuro del Servizio sanitario italiano, emblematizzabili nel ricorrente appello del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin a mantenere all’interno del budget della sanità ogni guadagno di efficienza per reinvestirlo in qualità.
Una posizione alla quale si contrappone, sospeso ma inquietante, ciò che si legge negli atti del Rapporto Cottarelli sulla spending review, dove compare un target di spesa sanitaria pubblica al 5,25% del Pil, che forse alcune componenti della tecnostruttura governativa vedono con interesse.
Di fatto, ancora nel luglio 2015, con il Dl 19/6/2015 n° 78 compaiono altri inattesi tagli alla sanità, che sommandosi a quelli già attuati negli anni precedenti e al trascinamento delle norme a valenza pluriennale portano al risultato finale che si può leggere nella tabella 1.

Cosa abbiamo tagliato?
Venti miliardi tolti alla spesa pubblica sanitaria nel quinquennio 2012-2016 sono una cifra imponente, e il risultato di questa serie di interventi, operati da quattro successivi Governi, porta il nostro Paese a un valore attuale di spesa intorno al 6,8% del Pil.
I fautori del ridimensionamento del Ssn, più numerosi di quanto si veda e presenti in tanti ambienti, osservano che la spesa pubblica sanitaria nell’Unione Europea è in media del 6,2% del Pil (fig. 1) dunque l’Italia avrebbe ancora margini di riduzione e non esistono veri motivi di allarme.
Ma questa valutazione è inficiata da una prospettiva non corretta. Non è infatti possibile comparare l’Europa originaria, l’Europa dei 15, che è anche l’Europa del welfare evoluto con i 13 Paesi entrati più recentemente, per lo più caratterizzati da economie ancora fragili e soprattutto afflitti dalla pesante eredità sovietica, che per decenni ha celato sotto il velo dell’ideologia e della propaganda un modello di welfare, anche sanitario, profondamente inefficace e arretrato. Se infatti esaminiamo separatamente questi due gruppi (fig. 2) emerge con evidenza l’impegno a sostenere la salute dei propri cittadini degli stati dell’Europa dei 15, con una spesa sanitaria pubblica collocata al 7,4% del Pil, a fronte della faticosa rimonta degli altri Paesi dell’Unione, che ancora oggi possono destinare a questo fondamentale comparto solo in media il 4,8% del Pil.
In questo duro ma necessario confronto l’Italia è oggi fra i più bassi investitori nella sanità fra i Paesi più evoluti, al livello del migliore dei nuovi entrati, la Croazia.
Bisogna essere molto bravi per mantenere in vita un sistema universalistico e di buona qualità con questi investimenti, ma se non commetteremo errori e se ritroveremo il coraggio di innovare fortemente forse potremo farcela.
C’è infatti una straordinaria opportunità ovviamente difficile da cogliere, inserita nelle caratteristiche del nostro sistema.
Come spesso abbiamo osservato, infatti, il Ssn italiano è molto efficiente in termini generali, assicurando una buona copertura universale con il 7% del Pil, ma ingloba grandi aree di inefficienza concentrate per lo più nella quota di attività a gestione pubblica, tuttora largamente maggioritaria, come questo stesso 13° Rapporto più avanti ampiamente dimostrerà.
A fronte di un comparto privato che vale circa il 27% dell’attività ospedaliera italiana con un costo intorno al 14% della spesa corrispondente, esiste dunque oggettivamente una vasta riserva di inefficienza pubblica aggredibile.
Fino ad oggi gli interventi correttivi e i tagli alla spesa sanitaria non hanno però adeguatamente affrontato questi aspetti, intervenendo anzi, paradossalmente, a ridurre di più il privato rispetto al pubblico, cioè il comparto produttivo più efficiente ed efficace.
Infatti, se disaggreghiamo l’intero ammontare dei tagli nelle principali voci di spesa (tab. 2), vediamo che essi interessano direttamente i cittadini (ticket per il 10,2%), la farmaceutica che è praticamente tutta territoriale (21,1%) e poi si rivolgono al sistema degli erogatori pubblici e privati con tagli ai beni e servizi (44,6%) e al c.d. settore pubblico (9%) interessando in tal modo l’area della produzione di prestazioni a gestione pubblica per un complessivo (53,6%), mentre tutte le voci di taglio alla spesa ospedaliera e specialistica gestita da privati incidono per il 15,2% dell’insieme delle manovre. In realtà questi pesi sono distribuiti in modo un po’ diverso. Come si vede in figura 3, infatti misurando i tagli di spesa che hanno riguardato gli erogatori pubblici e privati, si vede che il settore pubblico con il 79,8% della spesa, è interessato da 11.507 milioni di tagli, concentrati nelle voci beni e servizi e settore pubblico, che rappresentano il 17,4% del valore di attività. Il privato è interessato globalmente da tagli per 3.255 milioni, che rappresentano il 19,3% del valore di attività.
E questa disparità è aggravata dal fatto che i tagli al privato sono immediatamente efficaci e generatori di cassa, mentre quelli al settore pubblico debbono essere tradotti in realtà dall’insieme delle Regioni e delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere pubbliche, spesso le stesse che hanno generato i disavanzi.
Proprio per queste evidenti difficoltà, da sempre sosteniamo che la strada per il risanamento – e soprattutto per assicurare la sopravvivenza di un settore di welfare fondamentale e irrinunciabile quale quello sanitario – non può che passare, prima di tutto, attraverso una grande riforma che richiede tempi di realizzazione non brevi e grande capacità di governo.

Verso una nuova riforma
Aggredire le inefficienze del comparto pubblico – che ad una stima ragionevole e prudente potrebbero globalmente ammontare intorno ai 10 miliardi – e utilizzare le risorse che si liberano per rinforzare la qualità e l’efficacia del Ssn evitando un declino fatto di invecchiamento umano e tecnologico, e contrastando il calo delle prestazioni, è un obiettivo possibile, purché sia chiaro che esso richiede tempi medi e riforme strutturali.
Da molto tempo AIOP non si stanca di ricordare che, mentre è indispensabile fermare il disinvestimento nella sanità attestandosi almeno a una spesa pubblica al 7% del Pil, è altrettanto indispensabile modificare profondamente la struttura attuale di governo e gestione, con interventi mirati a promuovere qualità ed efficienza.
I punti fondamentali li abbiamo ancora ricordati un anno fa nell’introduzione al 12° Rapporto:
1) trasparenza nella gestione delle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche, con adozione di bilanci civilistici tempestivamente resi pubblici;
2) riforma del percorso di aziendalizzazione, con il ritorno al pagamento a prestazione anche per il comparto pubblico, che deve essere ricondotto con efficaci piani industriali all’equilibrio fra costi e ricavi in tempi certi e misurabili;
3) attivazione di un vero sistema di “premi e castighi” che riconosca gli sforzi delle organizzazioni e dei manager migliori, e che al contempo disincentivi in modo netto le gestioni disfunzionali o inefficaci. Nell’11° Rapporto Ospedali & Salute, pubblicato alla fine del 2013, a tal fine proponevamo per le aziende sanitarie e ospedaliere disfunzionali “un vero commissariamento, unito a provvedimenti più incisivi in caso di reiterato deficit, quale l’affidamento a gestori professionali”;
4) inserimento di elementi crescenti di competizione virtuosa, con apertura di una reale parità fra erogatori di diversa natura giuridica all’interno di un unico percorso di accreditamento;
5) terzietà dei controlli, per superare il conflitto di interessi di un erogatore pubblico che vigila su se stesso, con tutti i gravi effetti negativi che ciò comporta.
Siamo consapevoli che tutto questo non può realizzarsi in tempo breve, non offre quei risparmi di cassa che taluni si attendono, e probabilmente richiederebbe anche l’attivazione di qualche ammortizzatore sociale specifico, là dove la spesa sanitaria in eccesso si è tradotta in azioni di mero sostegno economico a territori non di rado profondamente disagiati, con una distorsione che però oggi non è più accettabile perché genera caduta delle prestazioni sanitarie colpendo la generalità dei cittadini.
Ma è l’unica strada possibile per mantenere in vita un Ssn universale e solidaristico, arginandone il declino e riallineandolo ai migliori Sistemi sanitari europei.
Siamo anche consapevoli che una nuova, grande riforma del Ssn, proposta e discussa nella sua interezza come avvenne nel passato, forse seguirebbe oggi un percorso troppo arduo e incerto, non in sintonia con il momento storico.
Ma è proprio per queste difficoltà di fondo – e per la conseguente necessità di trovare nuove forme per intervenire su una materia così complessa e scivolosa – che l’approccio contenuto nel capo II “Efficientamento della spesa sanitaria”, all’interno della Legge di Stabilità 2016, ci pare estremamente interessante, innovativo e coraggioso. Premesso che per la prima volta da molti anni, la legge di stabilità non contiene tagli alla sanità, va osservato che l’Art. 40 (Piani di rientro e riqualificazione degli Enti del Servizio Sanitario Nazionale e Aziende sanitarie uniche) introduce una serie di norme di assoluta rilevanza, che possiamo così sintetizzare:
1) la pubblicazione integrale sul proprio sito internet dei bilanci di esercizio degli erogatori pubblici;
2) l’adozione di schemi tipo per la redazione dei bilanci al fine di dare evidenza e trasparenza del risultato di esercizio nei documenti di bilancio degli erogatori pubblici;
3) l’adozione di piani di rientro triennali per tutti i soggetti pubblici con scostamenti pari o superiori al 10% (o almeno 10 milioni) tra costi e ricavi;
4) il monitoraggio costante dei piani di rientro;
5) la decadenza automatica del direttore generale in caso di mancata adozione del piano di rientro o esito negativo della verifica annuale;
6) l’adozione di una nutrita serie di norme attuative volte a rendere efficaci questi indirizzi.
Pur rimandando ad un esame più approfondito a fronte di un testo definitivo, possiamo sin d’ora affermare che queste disposizioni, veramente innovative, rappresentano un primo solido intervento di autentica riforma, che finalmente si pone in concreto l’obiettivo dell’efficientamento della componente pubblica del Ssn, riprendendo il percorso della vera aziendalizzazione interrotto alla fine degli anni ’90.
Trasparenza, equilibrio dei conti, responsabilità diventano così priorità e obiettivi determinanti nel riordino del Ssn, assumendo un valore e una potenzialità innovativa degna di un autentico processo riformatore.
Certo, è il primo passo.
Sarà una difficile sfida per il Governo riempire di contenuti tecnici le disposizioni della legge, così come probabilmente sarà insufficiente la sola previsione di decadenza del direttore generale per indurre a conseguire in tante aziende pubbliche in deficit cronico un equilibrio economico faticoso e non certo utile per il consenso.
A nostro giudizio, perché un progetto così ambizioso abbia successo, occorrerà nel futuro aggiungere al disegno che si va componendo un altro fondamentale tassello.
Da sempre infatti noi sosteniamo che l’unico vero stimolo all’efficienza e all’equilibrio finanziario per l’operatore pubblico come per quello privato, è il rischio di perdere la proprietà, e questo rischio per l’operatore pubblico deve tradursi nell’obbligo dell’affidamento della gestione dell’azienda sanitaria o ospedaliera cronicamente in deficit ad un operatore professionale di diritto privato.
Una medicina amara, che comporta la perdita della rendita politica unita al riconoscimento delle difficoltà a gestire direttamente un grande comparto produttivo del Paese, ma anche un forte stimolo a contenere le infinite pressioni che si scaricano sull’amministratore pubblico e che ne riducono oggettivamente la capacità di conseguire la più elevata efficienza aziendale.
Un modo, inoltre, per equiparare veramente diritti e doveri di tutti gli erogatori di prestazioni sanitarie pubblici e privati, e per dare autentica terzietà, e riportare al fondamentale compito di governo del Sistema lo Stato e le Regioni, la cui vera missione, e la cui credibilità, si concentrano nell’alto obiettivo di assicurare a tutti i cittadini la piena tutela della salute tramite norme e regole efficaci ed adeguate, vigilandone l’attuazione e destinandovi la giusta quota della ricchezza del Paese.
Se nei prossimi anni il Governo troverà la forza di proseguire con determinazione il percorso riformatore avviato, potremo ricordare questo anno come il tempo del giro di boa, la fine di una fase di crisi e decadenza del Ssn.

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