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AiopMagazine n° 1 - gennaio 2018
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AiopMagazine n° 1 - gennaio 2018

Il futuro della sanità in Italia

 

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ESTRATTO DALL’INTRODUZIONE AL 15° RAPPORTO OSPEDALI&SALUTE

di Gabriele Pelissero

Il Sistema sanitario nazionale italiano nasce ispirandosi ad un modello di tipo Beveridge, ma mostrando sin dall’inizio significative differenze rispetto all’originale britannico. Le sue caratteristiche principali sono ben note, ma ai fini della nostra riflessione sul futuro dobbiamo qui brevemente richiamarne alcune. Il sistema è fondato sui due pilastri della universalità e della solidarietà. Universalità significa l’accesso di tutti i cittadini italiani, e più recentemente perfino degli abitanti privi di cittadinanza, alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione indicate nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), che in realtà contengono quasi tutte le prestazioni sanitarie esistenti. Solidarietà significa finanziamento attraverso la fiscalità generale, e pertanto con modalità completamente ascrivibili al comparto della spesa pubblica. Queste due caratteristiche fondamentali hanno in sé elementi di criticità. L’universalità, infatti, può venire meno se all’affermazione del diritto non corrisponde una adeguata accessibilità, cioè se si formano lunghe liste d’attesa, o se la qualità – reale o percepita – dell’erogazione scende sotto un livello minimo disincentivando così l’utilizzo delle prestazioni offerte dal sistema. La solidarietà è collegata alla capacità di spesa e ai vincoli nazionali e internazionali posti alla spesa pubblica. Se questa si restringe oltre un certo limite le risorse diventano insufficienti ad assicurare il volume e/o la qualità delle prestazioni. Queste sintetiche osservazioni evidenziano come la funzionalità del Ssn sia in realtà posta costantemente in un equilibrio precario e che il modificarsi delle disponibilità di risorse e delle capacità di erogare prestazioni in quantità e qualità adeguate ne possono continuamente alterare la corretta dinamica.
Inoltre il Ssn italiano si caratterizza per alcune varianti rispetto al modello Beveridge classico, rappresentate dal ruolo delle Regioni e dal pluralismo degli erogatori, condizioni entrambe che introducono forti elementi di differenziazione, e in parte anche competitività, estranei alla concezione centralistica e statalista del modello originario.
Muovendosi da queste premesse, per riflettere al futuro, possiamo interrogarci per prima cosa sulle caratteristiche principali e sulla dinamica di quello che è il motore finanziario indispensabile: la spesa pubblica.

CARATTERISTICHE DELLA SPESA PUBBLICA ITALIANA
Le caratteristiche e le criticità, dell’economia italiana e in particolare della spesa pubblica sono ben note. Di quest’ultima qui ci limitiamo ad osservare la sostanziale stabilità negli ultimi 7 anni, espressa in percentuale rispetto al Pil. Portando la nostra attenzione sulla sanità, possiamo osservare che essa assorbe nel 2015 il 13% della spesa pubblica, percentuale indubbiamente importante, che dobbiamo però leggere almeno alla luce di due dati: il confronto con gli altri Paesi europei e il confronto con le altre voci di spesa.
In primo luogo, infatti dobbiamo osservare che l’Italia, nel 2015, presenta una spesa pubblica totale ben superiore rispetto alla media dei Paesi Ue 15, sicuramente i più confrontabili con il nostro Paese, attestandosi al 52,2% del Pil rispetto a una media del 44% nell’Europa dei 15. Ma se andiamo ad esaminare i grandi capitoli di spesa, vediamo come l’Italia superi abbondantemente gli altri Paesi nel servizio del debito (4,7% del Pil a fronte del 2,2%) e nella spesa pensionistica (15,7% del Pil rispetto all’11,2%) e di poco per ordine pubblico e sicurezza (1,9% del Pil rispetto all’1,6%) e nella spesa dedicata alla difesa dell’ambiente (1% del Pil a fronte dello 0,7%). Al contrario le maggiori restrizioni si riscontrano su istruzione (4% del Pil a fronte del 4,4%) e sanità (6,8% del Pil a fronte del 7,4%). Quest’ultimo dato si amplifica se portiamo il confronto sui grandi Paesi con noi più direttamente comparabili come Germania e Francia.

LA CULTURA
DEL DISINVESTIMENTO
I documenti della spending review affidata dal Governo Letta a Carlo Cottarelli furono pubblicati, successivamente, dal Governo Renzi. Non divennero attuativi, ma sicuramente esprimono una cultura e una visione tuttora non estranea alla tecnostruttura governativa, e si inseriscono in un contesto di studi ed elaborazioni importanti. Su questi temi siamo già intervenuti commentando ampiamente il Rapporto Giarda del 2012, nel quale ricordiamo comparire la nozione di “spesa aggredibile”, indicando fra essa anche la spesa sanitaria.
In realtà, un’attenta lettura del Rapporto consente di apprezzare le cautele apposte dall’autore proprio sulla spesa sanitaria, ma ben descrivono un clima complessivo. Clima che più semplicemente traspare nel testo redatto dal gruppo di lavoro guidato da Cottarelli che si esprime sulla sanità nelle “Proposte per una revisione della spesa pubblica (2014-2016)”, datato 18 marzo 2014. Il documento riporta le tabelle con gli obiettivi di spesa pubblica per funzioni, e il benchmark per la spesa pubblica sanitaria previsto per il 2016, scende drasticamente al 5,25% del Pil. E rispetto a questa proposta occorre incidentalmente notare che in area Ocse solo sei Paesi si collocano su questi livelli: Cile, Corea del Sud, Polonia, Estonia, Lussemburgo, e – con l’eccezione del Lussemburgo che non ha una dimensione comparabile con i grandi Paesi Ue – non si tratta certo di Paesi con sistemi sanitari universalistici ed efficaci. Se la previsione Cottarelli può essere considerata espressione di un certo radicalismo contabile, comprensibilmente insensibile ai risvolti sociali, ben diversa rilevanza pratica assume il Documento di Economia e Finanza elaborato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dell’Economia e approvato dal Parlamento nell’ottobre 2017. In esso, il livello di finanziamento per il Ssn scende di un decimo di punto del Pil dal 2018 al 2020, arrivando a valori del 6,3%. E qui siamo sotto la soglia di sostenibilità del 6,5% dell’Oms.

LA SITUAZIONE ATTUALE
A fronte di una prospettiva finanziaria di questo tipo, dobbiamo a questo punto esaminare meglio la situazione operativa attuale del Ssn, sotto il profilo dell’utilizzo delle risorse, delle principali attività operative e del giudizio dei cittadini. Per ciò che attiene alla spesa pubblica, che purtroppo continua nei dati ufficiali ad essere aggregata in modo tale da non essere non del tutto chiaramente leggibile per funzioni, si osserva che continua a gravare, per quasi due terzi, su voci come personale e acquisto di beni e servizi, che per la stessa ammissione del Governo ha margini di efficientamento significativi. La spesa per acquisto di beni e prestazioni da operatori non pubblici (farmaceutica 7%, ospedaliera 7%, specialistica 3,6%) si mostra invece contenuta, e là dove è possibile effettuare una comparazione fra pubblico e privato mostra elevati livelli di efficienza. Basti rilevare come il 28,3% dell’attività ospedaliera erogata da operatori di diritto privato assorba solamente il 13,6% dell’intera spesa ospedaliera (stimata).
Dobbiamo rilevare a questo punto, incidentalmente, l’esistenza di una situazione apparentemente paradossale. Come spiegare infatti che un sistema complessivamente sotto finanziato, che è ancora in grado di assicurare un elevato numero di prestazioni, possa essere contemporaneamente afflitto da bassi livelli di efficienza, come appare vistosamente nel rapporto fra costi e produzione nel comparto a gestione pubblica rilevabile in figura 2.
Il paradosso a nostro giudizio trova spiegazione in una pluralità di fattori, quali un complessivo basso livello di costi e remunerazioni rispetto agli altri Paesi europei confrontabili, livelli di investimento e ammortamenti molti limitati nella componente aziendale di diritto pubblico, un significativo vantaggio di efficienza dovuto alla presenza ormai rilevante di operatori di diritto privato che lavorano a costi più bassi, una elevata migrazione di pazienti fra le Regioni che alleggerisce notevolmente i costi e la pressione in quelle più disfunzionali e inefficienti. E assieme a tutto questo una buona qualità diffusa delle principali figure professionali, a partire dai medici, e probabilmente una minore aspettativa di qualità in una parte non piccola degli utenti.
Resta da meglio comprendere il fenomeno dell’inefficienza gestionale delle Aziende di diritto pubblico. A nostro giudizio ciò dipende da alcuni limiti intrinseci alla gestione pubblicistica, che impedisce il pieno dispiegarsi dell’attività di efficiente amministrazione che pure lo stesso management pubblico sarebbe in grado di effettuare.
Per essere più espliciti, nella gestione delle Aziende del Ssn a proprietà pubblica, cioè di proprietà delle Regioni, le necessità del proprietario di mantenere un ampio consenso sociale frenano inevitabilmente le più incisive azioni di efficientamento che le direzioni aziendali potrebbero effettuare, innescando un circolo vizioso che permette di coprire il disavanzo con un supplemento di finanziamento.
Proprio per ovviare a questo limite, da tempo abbiamo proposto che le Aziende sanitarie e ospedaliere a gestione pubblica che presentino per tre anni successivi disavanzi di bilancio vengano affidate per un tempo sufficiente a un gestore imprenditoriale.
Ma occorre anche dire che tutto questo non basterebbe senza una riforma più ampia, che torni a porre la prestazione effettivamente erogata al cittadino al centro dell’attenzione del sistema e del complessivo metodo di finanziamento, ripristinando il metodo di pagamento a prestazione che i D.lgs. 502 e 517 all’inizio degli anni ’90 avevano cercato di introdurre, e che non ha mai trovato applicazione nella componente aziendale di diritto pubblico, saldamente attestata sull’inefficiente metodo del finanziamento a costi.
Per quanto infine riguarda la spesa sanitaria privata, in larghissima misura si rivolge all’acquisto di prestazioni escluse dai Lea (come l’odontoiatria) o di presidi non intermediabili (farmaci e apparecchiature medicali), destinando una parte relativamente esigua a prestazioni che sono anche erogate dal Ssn.
Se ciò è vero, dobbiamo pensare che la spesa sanitaria out-of-pocket attuale sia difficilmente modificabile, e che la quota oggi destinata all’acquisto di prestazioni corrispondenti a quelle erogate dal Ssn sia molto piccola e non in grado, a valori attuali, di compensarne una progressiva riduzione delle prestazioni finanziate con la spesa sanitaria pubblica.
L’effetto complessivo di questa progressiva riduzione delle risorse si legge con chiarezza nell’analisi del fenomeno della mobilità dei pazienti, che per caratteristiche e dimensione rappresenta una peculiarità del Ssn italiano.
Il primo è rappresentato dall’andamento temporale, che vede la mobilità interregionale dei pazienti che richiedono un ricovero ospedaliero al di fuori della propria Regione di provenienza, in continua crescita da quasi 20 anni.
In realtà, il numero assoluto dei pazienti in mobilità decresce a partire dal 2006, pur rimanendo costantemente al di sopra dei 700.000 casi all’anno, ma ciò è conseguenza della generale tendenza alla riduzione del tasso di ospedalizzazione in regime ordinario. Invece, la percentuale di mobilità sul totale dei ricoveri risulta in costante crescita, e anzi incrementa ulteriormente a partire dal 2011, proprio in corrispondenza del dispiegarsi delle azioni di contenimento della spesa sanitaria pubblica.
Appare dunque evidente che fattori di criticità nella capacità di erogare prestazioni da parte del Ssn sono presenti e operanti, e sono distribuiti in modo disuguale fra le varie Regioni.
Non sorprende, a questo proposito osservare come le Regioni che sono o sono state in Piano di rientro sono anche quelle con saldi passivi di mobilità. I pazienti italiani di queste Regioni, dunque, sono sempre più spinti a ricercare le cure al di fuori del proprio territorio, con evidente propensione per i Sistemi sanitari regionali che conservano maggiori margini di efficacia e di efficienza.
Per quanto attiene al giudizio dei cittadini, ci limiteremo qui a ricordare l’indagine Censis-Rbm presentata nel giugno 2017, secondo la quale nel 2016 oltre il 20% degli italiani, circa 12,2 milioni di cittadini, avrebbe rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie (1,2 milioni in più rispetto al 2012). Di questi, il 18% sono cittadini del nord-ovest, il 15% del nord-est, il 39% del centro e il 28% del sud e isole, con una quota di persone anziane coinvolte pari a 2,4 milioni. Sono dati che richiedono un approfondimento e probabilmente possono essere interpretati in modo non necessariamente drammatico, anche in relazione alla tipologia delle prestazioni rinviate, ma restano una sicura espressione di un malessere crescente.

QUALE FUTURO?
Le difficoltà e le criticità che fin qui abbiamo sistematicamente evidenziato debbono essere iscritte, ovviamente, all’interno di un più generale contesto socio-economico, conseguenza di un complesso di fattori di lungo periodo, la cui disamina esula totalmente da queste note. È bene anzi ricordare che, in una situazione generale del Paese non facile, la sanità italiana nella sua interezza può legittimamente vantare significativi risultati, che vanno dalla diffusa alta qualità professionale alla riconosciuta produttività scientifica, e soprattutto dalla capacità di mantenere malgrado tutto un ragionevole livello di universalità, seppur ottenuto con un rilevante strutturale ricorso alla mobilità dei pazienti.
Tuttavia resta indiscutibile un trend orientato alla riduzione delle risorse, unito a non risolte criticità nella governance dei Sistemi sanitari regionali e della rete di Aziende di diritto pubblico.
Quali prospettive tutto ciò apre al futuro?
Le risposte a domande di questo tipo non possono che essere multiple, perché derivanti da quali scelte di politica sanitaria verranno effettuate su alcuni aspetti fondamentali. Il primo di questi, inevitabilmente, riguarda le risorse impiegate a partire dalla spesa pubblica sanitaria. È ovvio infatti che una netta inversione di tendenza, che la riporti nei prossimi anni a valori superiori al 7% del Pil, disegnerebbe uno scenario ottimistico con incrementi quali-quantitativi delle prestazioni. Possiamo solo auspicare che questo sia il nostro futuro.
Ma se non sarà così?
La questione si pone in questo caso in modo diverso a seconda che la percezione della crescente difficoltà operativa dei Sistemi sanitari regionali induca a consolidarsi intorno all’attuale 6,7% del Pil di spesa sanitaria pubblica, o se si dovesse davvero determinare la discesa programmata del Def fino al 6,3% o addirittura la drastica contrazione prevista dalla spending review più radicale, indicata nel Rapporto Cottarelli.
Il consolidamento dei livelli attuali di spesa potrebbe determinare un sostanziale galleggiamento del sistema, con livelli quali-quantitativi corrispondenti a quelli attuali, ma inevitabilmente escludendo dalle prestazioni erogabili buona parte dell’innovazione che potrà generarsi nei prossimi anni.
È probabile che una situazione di questo tipo porti nel tempo ad un certo incremento della spesa privata, sia out-of-pocket che intermediata, con una netta stratificazione sulle fasce di popolazione e sui territori con maggiori disponibilità economiche.
Un drastico progressivo decremento della spesa pubblica sanitaria aprirebbe invece scenari molto vari e innovativi, conseguenti alle linee di politica sanitaria adottata.
Con estrema semplificazione abbiamo a tale proposito ipotizzato due possibili scenari, rappresentati il primo dallo stabile riferimento di risorse finanziarie aggiuntive e il secondo da una condivisione di erosione permanente del sistema. Presupposto della prima è l’adozione di precisi e consapevoli interventi normativi di tipo strutturale, rivolti a reperire risorse aggiuntive. In termini generali i percorsi possibili sono di due ordini. Il primo, che si presenta come sostanzialmente conservativo del modello Beveridge originario del Ssn, può essere rappresentato da iniziative che amplino i livelli di compartecipazione della spesa pur conservando il modello di finanziamento attuale. L’esempio più semplice può essere rappresentato da una forte azione sui ticket, limitando l’esenzione per patologia alle più basse fasce di reddito. Possiamo inoltre ricordare che nel passato sono state ipotizzate in questa prospettiva interventi anche più incisivi, quali l’estensione dei ticket a prestazioni ospedaliere o l’introduzione di imposte di scopo a sostegno di diversi tipi di prestazione. Il secondo percorso interviene in modo più radicale sul modello Beveridge introducendo elementi di tipo Bismarck e pervenendo così ad una tipologia molto innovativa e poco sperimentata di sistema sanitario.
Il presupposto di questo approccio consiste nella riduzione del perimetro dell’universalità garantita dal Ssn, con una modulazione in senso riduttivo dei Lea, che per ragioni sociali potrebbe essere limitata alle fasce di popolazione in grado di sostituire la copertura con strumenti collettivi sostanzialmente di tipo mutualistico. Un percorso che forse non sarebbe in contrasto con lo stesso dettato costituzionale. Un approccio di questo tipo necessita indubbiamente di un deciso intervento normativo, ma soprattutto di un vasto livello di consenso sociale, soprattutto nel mondo del lavoro e nelle sue rappresentanze sindacali e datoriali.
Un passaggio anch’esso, a prima vista, indigesto, ma forse non così privo di qualche attrattività, soprattutto alla luce di un potenziale ruolo più attivo e responsabile da parte di tutti gli attori impegnati nei settori produttivi.
E in questo senso vale ricordare che questo scenario apre prospettive di soluzioni istituzionali nel governo del welfare sanitario che ad esempio in Germania si sono rivelate molto solide e funzionali, e che vedono nel ruolo di regolatori una salda presenza delle organizzazioni sindacali e datoriali e dei territori.
Tutte le soluzioni che qui abbiamo sinteticamente accennato richiedono, lo ripetiamo, una esplicita e forte visione riformatrice, per realizzare sistemi organizzativi coerenti e efficaci.
E se questo non avvenisse?
In costanza di un decremento progressivo della spesa pubblica senza soluzioni compensative non potremmo che assistere a una corrispondente erosione del sistema di welfare sanitario, con ogni probabilità aggravata da crescenti disparità territoriali e gravi cadute nell’universalità e nell’equità.
A questo scenario farebbero inevitabilmente riscontro un incremento incontrollato della spesa out-of-pocket, una generale contrazione delle prestazioni e una forte sofferenza sociale.

LA POSIZIONE DI AIOP
Nell’incertezza del futuro che abbiamo descritto, la presenza in Italia di una grande rete di erogatori ospedalieri di diritto privato rappresenta, come già detto, un vantaggio rilevante per il Ssn, una opportunità preziosa per erogare prestazioni con elevati livelli di efficienza, e una riserva di operatività nell’eventualità di crisi produttive nel comparto a gestione pubblica.
Tutto questo è molto ma non basta, perché senza l’adozione di politiche sanitarie adeguate la rete Aiop, anche integrata dagli altri operatori ospedalieri di diritto privato, non sarà da sola sufficiente a garantire l’universalità delle prestazioni. Ma un ulteriore importante vantaggio per la sanità italiana che deriva da questa presenza è dato dalla indubbia capacità di questa rete di aziende di adattarsi all’evoluzione dei modelli organizzativi, modificando la propria organizzazione interna e conservando, entro limiti ragionevoli, la capacità di investire sul cambiamento. Questa flessibilità, che è la conseguenza del pluralismo degli erogatori che fra tanti contrasti si è affermato nel nostro Servizio sanitario nazionale, è un valore per tutto il Paese.
L’auspicio, che le difficoltà del futuro rendono ancora più pressante, è che di questo valore siano sempre più consapevoli i governi nazionali e regionali, su cui incombe il dovere di garantire la salute dei cittadini.

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