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AiopMagazine n° 3 - marzo 2018
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AiopMagazine n° 3 - marzo 2018

Quella tentazione della sanità low cost

 

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editoriale - di Gabriele Pelissero

Nel dibattito su come garantire universalità e sostenibilità al nostro Servizio sanitario nazionale mancava l’ipotesi della sanità low cost. É quella che abbiamo letto, a firma di Milena Gabanelli, sulle pagine del Corriere della Sera lo scorso 5 febbraio. La Gabanelli è una brava e ben conosciuta giornalista, e proprio per questo, il suo articolo merita una riflessione per evidenziare conclusioni affrettate a premesse non corrette. Nel reportage viene messo in luce come le prestazioni di diagnostica e di laboratorio rese in una struttura sanitaria non accreditata siano offerte ad un prezzo decisamente inferiore rispetto a quello che le Regioni riconoscono agli ospedali pubblici e alle strutture accreditate con il Ssn. Se fosse preso a riferimento quel prezzo – viene sostenuto nell’articolo – si realizzerebbe un risparmio di 100 milioni di euro per gli esami diagnostici e 2 miliardi per gli esami di laboratorio. Insomma, in un periodo di vacche magre, un bel risparmio!
Un ragionamento che – c’è da ammetterlo – può destare una certa sorpresa per l’opinione pubblica, ma di certo, non per quanti operano nel settore che conoscono quanto la realtà sia molto più complessa.
Il ragionamento proposto non è corretto per almeno tre ragioni. La prima è che tutte le strutture sanitarie per poter erogare prestazioni hanno bisogno di un’autorizzazione che richiede il possesso di requisiti minimi. Quanti vogliono operare, invece, per conto del Ssn, in accreditamento, hanno bisogno di ulteriori requisiti di tipo strutturale, tecnologico e organizzativo stabiliti dalle Regioni, a garanzia di maggiori standard di qualità richiesti che comportano ovviamente ulteriori costi alla base della definizione delle tariffe ministeriali. Il secondo motivo è che le strutture private accreditate con il Ssn non possono erogare prestazioni a piacimento, come succede in regime di non accreditamento, agendo quindi sulla quantità offerta ma, in genere, solo nell’ambito di un budget annuale prefissato, al di sopra del quale non viene riconosciuta alcuna remunerazione. Il terzo motivo è che, quindi, la formazione del prezzo, al di fuori del Ssn, è subordinato alle legittime strategie di marketing che di volta in volta la struttura non accreditata decide di adottare. Appunto, al di fuori del Ssn.
Ma nell’articolo c’è un’altra premessa che è tanto fondamentale nel ragionamento quanto non vera nella realtà dei fatti, e cioè “il principio che gli imprenditori privati convenzionati ricevano lo stesso rimborso di un ospedale pubblico”. Ciò non è vero. Quanti operano in sanità sanno che mentre per le strutture private accreditate la tariffa corrisponde effettivamente a quanto viene corrisposto a fronte di quanto viene effettivamente erogato, negli ospedali pubblici le medesime tariffe sono solo un indicatore contabile, in quanto vengono remunerati in base a tutte le spese comunque sostenute . “A prescindere”, come avrebbe detto qualcuno. Giusto per fare un esempio: il costo del rinnovo del contratto del personale ospedaliero pubblico siglato in questi giorni è finanziato con uno stanziamento ad hoc del Governo, mentre il costo dell’analogo rinnovo per il personale della sanità privata accreditata dovrà essere coperto, almeno ad oggi, sempre all’interno delle medesime vecchie tariffe del 2012, decisamente inferiori al costo delle medesime prestazioni rese dalle strutture pubbliche. E così si spiegano le situazioni di deficit, oggetto di specifici Piani di rientro di decine di ospedali pubblici. Ed è singolare che questo inefficiente meccanismo di spesa “a pie’ di lista” non sia stato colto dalla giornalista. Altro che definire “furto legalizzato alle casse pubbliche” quello del sistema tariffario! Parole tanto pesanti quanto non corrispondenti alla sostanza delle cose, a meno che nell’intento dell’autore del reportage ci sia la volontà di promuovere una sanità low cost, fatta di gare per ogni tipo di prestazioni sanitarie, invitando ospedali pubblici e privati a giocare al ribasso. Una strada pericolosa, che non è quella che il nostro Paese ha fin qui percorso per realizzare un sistema che è tra i migliori al mondo, come ha certificato l’Ocse, per il rapporto costo-efficacia-qualità. Un sistema pubblico misto, integrato, fatto da erogatori pubblici e privati con medesima dignità. La strada per mantenerlo tale è certamente difficile, soprattutto a fronte delle scarse risorse a disposizione, ma scorciatoie avventurose finora non sono venute in mente a nessuno. Per fortuna.

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