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Sulle orme di Popper
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Sulle orme di Popper

Un mese, un libro. La recensione di Alberto Mingardi.

Con tutta probabilità, se a un certo punto Dario Antiseri non si fosse messo in testa di far tradurre in italiano La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper, la storia del liberalismo nel nostro Paese sarebbe stata diversa. Più povera e più breve. Negli anni Cinquanta, Miseria dello storicismo era stata pubblicata in italiano da Ferdinando Di Fenizio, poi Bruno Leoni aveva ospitato un saggio di Popper sulla rivista Il Politico. Ma in una cultura politica nella quale il marxismo era così importante, come la nostra, per l’austriaco Popper molte porte erano chiuse. A metà anni Sessanta, un Antiseri venticinquenne partecipa a dei seminari tenuti da Popper all’Università di Vienna. Pensa che sia importante che venga letto e conosciuto anche nel nostro Paese. Torna in Italia, comincia a interpellare editori e colleghi con qualche addentellato nel mondo editoriale. Non se ne fa nulla, fin quando non incontra un editore romano, Armando Armando, che cede alle sue insistenze: prima pubblica una monografia antiseriana su Popper e poi, nel 1973 e nel 1974, i due volumi de La società aperta. Bisognerà aspettare circa vent’anni perché la lungimiranza di quella scelta venga riconosciuta: nel 1994, complice la discesa in campo di Berlusconi e alcune pagine dettate da Popper al telefono, un mese prima di morire, che diventeranno Cattiva maestra televisione. Quando Popper lascerà questa terra, l’Unità di Walter Veltroni gli dedicherà il titolo d’apertura, in prima pagina.

Nel mentre Antiseri si era speso, con straordinaria energia, in altre iniziative editoriali, che riguardavano Popper ma anche gli economisti austriaci Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, i classici della filosofia, e ultimi ma non ultimi gli allievi che aveva riunito attorno a sé e trasformato in complici di un autentico sacro furore divulgativo. Per Rusconi, Antiseri si era occupato della filosofia contemporanea nell’ambito della collana “Classici del pensiero”, avviata da Giovanni Reale, col quale peraltro firma un importante libro di testo per le scuole superiori. Andato a gambe all’aria l’editore milanese, avvierà diverse collaborazioni fino a quando un ex studente suo e di Lorenzo Infantino, Florindo Rubbettino, non aprirà loro le porte dell’impresa di famiglia, che irrobustirà come casa editrice. Ne nasce la collana “Biblioteca austriaca”, seguita da tante altre iniziative.

Oltre a promuovere le opere altrui, nel mentre Antiseri scrive le proprie, finisce a insegnare alla Luiss di Roma, della cui Facoltà di Scienze Politiche sarà anche Preside. Qui, riesce a far conoscere Popper e Hayek a una generazione di studenti, alcuni dei quali poi diventati studiosi. Se un giorno qualcuno scriverà una storia della complessa navigazione delle idee liberali in Italia, nel secondo Novecento, la Luiss di Antiseri ne occuperà parte non piccola.

Questo suo nuovo libro torna sui temi che ad Antiseri sono più cari, quelli che si porta nella “bisaccia” del viandante del titolo. In primo luogo, l’epistemologia popperiana:

Evitare l’errore - ha scritto Popper - è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili, l’errore è forse inevitabile. Certo, sbagliare è umano; ma ancor più tipicamente umano è apprendere dagli errori, nostri e altrui. E’ qui - sottolinea Popper - una delle differenze tra l’animale e l’uomo, tra l’ameba ed Einstein. (…) Le teorie scientifiche sono e restano in stato d’assedio. E c’è da ricordare che non esiste un metodo o una procedura meccanica per scoprire una nuova teoria: le teorie si scoprono nel senso che vengono inventate, che sono frutto di sforzi creativi e non l’esito di procedimenti di routine. (…) Come l’evoluzione biologica si sviluppa attraverso mutazioni e selezioni, così la scienza avanza tramite la creazione di nuove congetture e la selezione di queste attraverso controlli empirici: nell’evoluzione biologica e nell’evoluzione della scienza esistono, dunque, il caso e la necessità. E questo è il nocciolo dell’epistemologia evoluzionistica. Le idee buone (per la soluzione dei problemi) vengono fuori, di volta in volta, se esistono, dai controlli effettuati tra la proliferazione delle idee nuove.

Spiegano Popper e Antiseri: “tutto quanto il modo di procedere della scienza razionale consiste nel proporre ipotesi quali tentativi di soluzione dei problemi, ipotesi da sottoporre a severi controlli al fine di scoprire in esse eventuali errori da correggere tramite la proposta di altre ipotesi anch’esse da controllare, e così via”. Quest’approccio conta sulla razionalità del processo più che su quella dei singoli attori. Costoro possono pervenire a una soluzione valida per i motivi sbagliati, o indovinare un percorso geniale andando a tentoni. La nostra speranza in quanto emerge dal processo scientifico non riposa sull’acume, sul genio, sulle capacità del singolo scienziato: ma sulle regole del gioco scientifico, sulla competizione fra ricercatori per pervenire alla teoria più solida, sulla rivalità che porta a correggere gli errori altrui prima che sulla saggezza di venire alle prese coi propri.

Ad Antiseri è cara questa citazione di Augusto Murri (che assieme a un altro protagonista della storia della medicina, Claude Bernard, amatissimo anche da Pareto, considera un “pre-popperiano”): “la nostra ragione è tutt’altro che un infallibile congegno generatore di luce; è strano, ma siamo proprio noi razionalisti, che più diffidiamo di essa. Lo disse già da par suo il principe dei razionalisti: la pretesa di non errar mai è un’idea da matti. Eppure, noi adoriamo la ragione, perché crediamo ch’essa sola ci possa dare il sapere”. Per Antiseri è la ragione che ci rende umani (la differenza fra l’ameba ed Einstein), ma la nostra umanità è fallibilità, tendenza all’errore, auto-inganno. A ciò non possiamo sopperire esercitando individualmente la nostra ragione, facendo fare sport al cervello, per così dire. Ma vi sopperiamo con l’impresa collettiva della scienza.

Il metodo scientifico è unico, spiega Antiseri, “diverse sono le metodiche, cioè le tecniche di prova”. Egli per esempio giustappone il trial and error popperiano con il “circolo ermeneutico” di Hans Gadamer:

Esistono testi forniti di senso che, a loro volta, parlano di cose: l’interprete si avvicina ai testi non con la mente simile a una tabula rasa, ma con la sua pre-comprensione, cioè con i suoi «pregiudizi», le sue presupposizioni, le sue attese; dato quel testo e data quella precomprensione dell’interprete, l’interprete abbozza un preliminare «significato» di tale testo, e siffatto abbozzo si ha proprio perché il testo viene letto dall’interprete con certe attese determinate, derivanti dalla sua pre-comprensione. E il successivo lavoro dell’ermeneuta consiste tutto nell’elaborazione di questo progetto iniziale «che viene continuamente riveduto in base a ciò che risulta dall’ulteriore penetrazione del testo». In realtà, afferma Gadamer, «bisogna tener conto che ogni revisione del progetto iniziale comporta la possibilità di abbozzare un nuovo progetto di senso; che progetti contrastanti possono intrecciarsi in una elaborazione che alla fine porta a una più chiara visione dell’unità del significato; che l’interpretazione comincia con dei pre-concetti i quali vengono via via sostituiti da concetti più adeguati. (…) L’unica obiettività qui è la conferma che una pre-supposizione può ricevere attraverso l’elaborazione».

Per Antiseri, “non c’è nessuna differenza con il metodo delle congetture e confutazioni” di Popper.

Una prima versione di questa recensione è apparsa anche su albertomingardi.substack.com

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