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La Consulta si pronuncia nuovamente sul contratto a tutele crescenti, ampliando i casi di reintegra nel licenziamento disciplinare
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La Consulta si pronuncia nuovamente sul contratto a tutele crescenti, ampliando i casi di reintegra nel licenziamento disciplinare

Corte Cost. n. 129 del 16 luglio 2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

Il Tribunale di Catania, con ordinanza del novembre 2023, ha sollevato quattro questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, D. Lgs. 23/2015, ritenendo che esso sia in contrasto con una pluralità di disposizioni di rango costituzionale. In particolare, nella parte in cui non prevede che il Giudice possa annullare il licenziamento e disporre la reintegrazione del lavoratore, nel caso di licenziamento intimato per un fatto per cui il CCNL prevede una sanzione di tipo conservativo. Il giudice rimettente, pertanto, dubita della legittimità costituzionale di una disciplina che, anche in caso di licenziamenti intimati per fatti aventi modesta rilevanza disciplinare, non idonei a compromettere la fiducia datoriale nell’esattezza dei futuri adempimenti e puniti per questo motivo con una sanzione di tipo conservativo, esclude che il lavoratore possa essere reintegrato nel posto di lavoro. Il Tribunale di Catania assume infatti che “la disposizione censurata provocherebbe uno squilibrio irragionevole ed eccessivo in danno della posizione del lavoratore, che dovrebbe poter esplicare la propria attività lavorativa senza temere ingiuste o dannose ripercussioni, quale è certamente quella di essere espulso dal proprio ambiente lavorativo, pur a fronte di violazioni disciplinari di scarsa entità”.

La Consulta, esaminato il caso, rileva innanzitutto che il principio fondamentale che governa il licenziamento disciplinare è quello di proporzionalità di cui all’art. 2106 c.c., secondo cui la sanzione disciplinare, e quindi anche il licenziamento, deve essere commisurato alla gravità dell’addebito commesso dal lavoratore.

Pertanto, osserva la Corte, i profili di legittimità costituzionale di cui il giudice rimettente dubita riguardano unicamente il profilo sanzionatorio del licenziamento disciplinare illegittimo e, segnatamente, il fatto che la reintegrazione non trovi applicazione nel caso in cui il licenziamento sia sproporzionato perché intimato per un addebito di modesta rilevanza disciplinare.

La Corte rileva, preliminarmente, l’adeguatezza del sistema sanzionatorio, previsto dal D.Lgs. 23/2015, così come novellato, anche in riferimento alle ipotesi in cui il licenziamento disciplinare risulti sproporzionato rispetto alla condotta e alla colpa del lavoratore. Tuttavia, secondo i Giudici, il riferimento alla proporzionalità del licenziamento ha una portata ampia, tale da comprendere le ipotesi in cui la contrattazione collettiva vi faccia riferimento come clausola generale ed elastica, ma non può concernere anche i casi in cui il fatto contestato sia in radice inidoneo, per espressa pattuizione contrattuale, a giustificare il recesso. Per la Consulta, infatti, le ipotesi in cui l’addebito è sanzionato dal CCNL con una sanzione meramente conservativa vanno equiparate a quelle dell’insussistenza del fatto materiale, posto che “in tali ipotesi, il fatto contestato è in radice inidoneo, per espressa pattuizione, a giustificare il licenziamento. Non vi è un ‟fatto materiale” che possa essere posto a fondamento del licenziamento, il quale, se intimato, risulta essere in violazione della prescrizione della contrattazione collettiva, sì che la fattispecie va equiparata a quella, prevista dalla disposizione censurata, dell’«insussistenza del fatto materiale», con conseguente applicabilità della tutela reintegratoria attenuata”; pertanto, “la mancata previsione della reintegra nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia punito con una sanzione conservativa dalle previsioni della contrattazione collettiva andrebbe ad incrinare il tradizionale ruolo delle parti sociali nella disciplina del rapporto e segnatamente nella predeterminazione dei canoni di gravità di specifiche condotte disciplinarmente rilevanti”.

Diversamente ragionando - e lasciando, quindi, immutata la situazione di mancata previsione della reintegra quando il fatto contestato sia punito con una sanzione solo conservativa dalla contrattazione collettiva - si andrebbe ad incrinare il tradizionale ruolo delle parti sociali nella disciplina del rapporto di lavoro. Tale ultima osservazione della Consulta potrebbe portare a dare una maggiore forza alla contrattazione anche per le ipotesi in cui invece il contratto collettivo preveda la risoluzione del rapporto,  limitando la discrezionalità del Giudice nella valutazione della sussistenza o meno della giusta causa.

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