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Per contestare l’uso improprio dell’assenza per malattia da parte di un dipendente non occorre la querela di falso per i certificati medici che la attestano
Cass. Sez. Lav. n. 30551 del 27 novembre.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista, Sede Nazionale
La pronuncia oggi esaminata affronta il caso una lavoratrice licenziata per avere usato impropriamente l’assenza per malattia tanto da far presumere all’azienda la simulazione della stessa.
La ex dipendente impugnava il licenziamento e la Corte di Appello di Roma, non condividendo le conclusioni del giudice di prime cure, riformava la sentenza di primo grado, ritenendo insussistente il fatto materiale contestato posto a base del licenziamento, e applicava la tutela reale prevista dall’art. 18, comma 4, dello Statuto dei lavoratori.
Nello specifico, il giudice di secondo grado, in riforma della sentenza impugnata, escludeva che si trattasse di un licenziamento discriminatorio e, contestualmente, riformava la decisione, recependo le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico d’ufficio. In sede di reclamo, infatti, la consulenza tecnica medica d’ufficio accertava la «compatibilità delle attività fisiche espletate dalla dipendente rispetto alla situazione patologica descritta dai certificati di malattia» e perveniva alla conclusione che quanto posto in essere da parte della lavoratrice non potesse dare luogo a «un ritardo nella guarigione o un peggioramento del quadro complessivo».
La Corte territoriale, attesa la compatibilità tra lo stato di malattia lamentato dalla lavoratrice (accertato nel certificato medico e consistente in una cervicobrachialgia acuta con vertigine) e le attività compiute, dichiarava l’insussistenza del fatto contestato in quanto non era apprezzabile, a motivo dell’attività resa, un pregiudizio per la salute della prestatrice.
La società proponeva ricorso per cassazione, per diversi motivi, tra cui per aver il giudice di seconde cure escluso la simulazione della malattia a causa della mancata contestazione, da parte della società, del certificato di malattia prodotto dalla prestatrice, avendo la Corte territoriale dedotto che “il datore di lavoro che intenda contestare in giudizio la sussistenza della malattia del proprio dipendente deve proporre querela di falso con riguardo alla certificazione medica”.
Ciò ancor più alla luce di una molteplicità di circostanze, a suo dire decisive, che, considerate nel loro complesso, avrebbero condotto a ritenere provata la simulazione della malattia, essendo peraltro precluso al datore conoscere la patologia di cui il lavoratore è affetto e non potendo quindi contestare le risultanze della certificazione medica.
La Cassazione, nell’accogliere il ricorso della società, ha ribadito innanzitutto che, in costanza del periodo di malattia, rimangono immutati tutti i doveri cui è tenuto il prestatore nei confronti del datore, tra i quali gli obblighi di diligenza, fedeltà, correttezza e buona fede, orientati alla salvaguardia degli interessi datoriali. Nell’ottica del richiamato contemperamento degli interessi delle parti, la Cassazione ha richiamato la sentenza della Sez. Lav., n. 6497 del 9 marzo 2021, secondo cui costituisce un preciso dovere del lavoratore astenersi, in costanza del periodo di malattia, da tutti quei comportamenti che possano mettere in pericolo l’adempimento dell’obbligazione prestazionale cui è tenuto e che potrebbero aggravare o, comunque, dilatare il periodo di guarigione necessario.
Indi, entrando nel merito della questione affrontata, ha affermato che il certificato redatto da un medico, che è in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale o con un ente previdenziale, costituisce un atto pubblico che fa piena prova fino a querela di falso, sia della provenienza che dei fatti attestati come da lui compiuti o in sua presenza avvenuti.
Gli Ermellini, tuttavia, sul punto, hanno specificato che, impregiudicato il dato per il quale il certificato sia atto pubblico e faccia piena prova fino a querela di falso, “tale fede privilegiata non si estende anche ai giudizi valutativi che il sanitario ha” in occasione del controllo “espresso in ordine allo stato di malattia e all’impossibilità temporanea della prestazione lavorativa” (Cass. 11 maggio 2000, n. 6045; Cass. n. 18507 del 2016 e ivi ulteriori rinvii). Tali giudizi, infatti, pur dotati di un elevato grado di attendibilità in ragione della qualifica funzionale e professionale del pubblico ufficiale e dotati, quindi, di una particolare rilevanza sotto il profilo dell’art. 2729 c.c., consentono al giudice di considerare anche elementi probatori di segno contrario acquisiti al processo”. Hanno concluso, quindi, che il giudice di appello ha errato nel ritenere che per contestare l’esattezza di una diagnosi sia necessaria la proposizione della querela di falso del certificato medico.
Per la Cassazione, quindi, attraverso la valorizzazione di “elementi probatori di segno contrario acquisiti al processo” è possibile giungere alla contestazione della diagnosi senza che sia necessario porre nel nulla la qualificante forma giuridica di cui è ammantato il certificato medico.
Per tali motivi, dunque, la Corte ha cassato la pronuncia di secondo grado rinviando alla Corte di Appello per la decisione sulla base di tale principio di diritto.