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La responsabilità del lavoratore infortunato
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La responsabilità del lavoratore infortunato

Rischio elettivo o concorso di responsabilità.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

Alla stregua di quanto disposto dall’art. 2087 c.c. l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. A tal proposito l’art. 71 del D.Lgs. 81/08 (T.U. Sicurezza), rubricato “Obblighi del datore di lavoro, prevede che il datore di lavoro debba mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature, idonee ai fini della salute e sicurezza e adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tali scopi, che devono essere oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la permanenza dei requisiti di sicurezza. L'ntero impianto normativo in questa materia è improntato sulla figura del datore di lavoro quale garante “assoluto” dell’incolumità fisica dei lavoratori. La posizione di garanzia si estrinseca nel dovere di evitare la verificazione di eventi lesivi, anche nell’ipotesi in cui gli stessi siano conseguenza di eventuali negligenze dei lavoratori medesimi.

Tuttavia, fermi restando gli obblighi del datore, la casistica nonché la giurisprudenza non escludono casi nei quali sia proprio la vittima di un infortunio sul lavoro che possa essere ritenuta responsabile, in tutto o in parte, del danno patito. Ed infatti, il lavoratore, nel dare esecuzione alla propria prestazione lavorativa, è assoggettato ad un generale obbligo di diligenza parametrato alla natura della prestazione che deve svolgere, ciò ai sensi dell’art. 2104 c.c., nonché a tutelare la propria e l’altrui incolumità, così come statuito dall’art. 20 d.lgs. 9.4.2008 n. 81.

Da ciò ne discende che, ove ricorra un infortunio, in ipotesi di contenzioso, il Giudice dovrà di volta in volta verificare innanzitutto se la condotta imprudente o negligente della vittima di un infortunio sul lavoro sia dipesa dall’inosservanza del datore di lavoro di doveri informativi o formativi.

Spesso, infatti, la causa dell’infortunio sul lavoro può essere connessa: alla mancata predisposizione da parte del datore di lavoro delle misure di sicurezza idonee a prevenire i comportamenti imprudenti e negligenti del lavoratore; all’omessa formazione del lavoratore sui rischi e pericoli connessi alla prestazione lavorativa   ovvero all’aver impartito al lavoratore l’esecuzione di un compito pericoloso.

Indi, occorrerà appurare se si incorra in una ipotesi di “rischio elettivo” o “concorso di colpa”.

Orbene, il rischio elettivo si verifica quando il lavoratore rimane vittima di un infortunio sul lavoro a causa di un suo comportamento volontario del tutto svincolato dalla propria prestazione lavorativa e/o dalle direttive impartite dal datore di lavoro. La Corte di Cassazione (Sentenza n. 8988/2020, Ordinanza n. 3763/2021) ha all’uopo individuato tre principi al verificarsi dei quali il lavoratore sarà considerato responsabile dell’infortunio subito. Ed ossia: - il lavoratore deve compiere, in maniera del tutto arbitraria, un atto volontario e scollegato dalla finalità lavorative/produttive; - tale comportamento deve essere diretto unicamente alla soddisfazione di impulsi personali; - L’assenza del nesso di causalità tra lo svolgimento dell’attività lavorativa e l’infortunio.

I recenti approdi della giurisprudenza di legittimità, infatti, hanno evidenziato che, qualora la condotta del lavoratore sia del tutto esorbitante ed incompatibile rispetto alle procedure operative alle quali lo stesso è addetto, la stessa determina l’interruzione del nesso causale tra il comportamento contestato al datore di lavoro e l’evento lesivo occorso al dipendente. Si tratta, in altri termini, di un comportamento così imprevedibile da collocarsi al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. La manovra cd. “abnorme” diventa quindi la causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare la lesione, innescando una categoria di rischio del tutto nuova e incongrua rispetto a quella che il datore di lavoro era originariamente tenuto a presidiare.

Nelle richiamate ipotesi il datore di lavoro, non essendo l’infortunio derivato dallo svolgimento dell’attività lavorativa né da attività connesse con quella lavorativa, andrà esente da responsabilità.

Sempre nell’ottica di meglio delineare la responsabilità datoriale, merita di essere citata anche una pronuncia della Suprema Corte (Cass. sez. IV, 16.4.2019, n. 32507), la quale ha precisato che l’agire imprudente del lavoratore può rilevare non solo sotto il profilo della causalità e, quindi, dell’elemento oggettivo del reato, ma anche nell’ottica dell’elemento soggettivo, per escludere la colpa in capo al datore di lavoro. In sostanza, nelle ipotesi di manovre obiettivamente imprudenti, occorre avere riguardo anche al rapporto tra la specifica norma cautelare asseritamente violata e la concreta verificazione dell’evento lesivo.

Il caso concreto affrontato in sentenza è emblematico: al legale rappresentante di una società operante nel settore della raccolta rifiuti si addebitava la morte di un dipendente caduto da un camion al quale si era “appeso”, nonostante la mancanza di apposita pedana. E’ evidente, scrive la Corte, che l’operazione rientrava nelle mansioni del lavoratore e, quindi, non poteva parlarsi propriamente di abnormità. Pur tuttavia, a fronte della specifica contestazione di non aver formato/informato il lavoratore e di non aver vigilato, il datore di lavoro è stato assolto per carenza di colpa, per le seguenti ragioni: anche laddove fosse stata erogata la formazione, l’evento si sarebbe comunque verificato (la manovra era assai pericolosa ed il lavoratore era persona esperta); l’addebito di omessa vigilanza era basato su una condotta “inesigibile” da parte del datore di lavoro, il quale, peraltro, aveva organizzato la sicurezza affinché vi fossero idonee figure (capisquadra) preposte alla costante attività di controllo.

Ove, invece, il lavoratore abbia contribuito – pur se non in via esclusiva – al verificarsi dell’infortunio sarà ritenuto corresponsabile dell’accaduto con conseguente diminuzione della posta risarcitoria. Ciò in applicazione del principio espresso dall’art. 1227 c.c. secondo cui “se il fatto colposo del creditore (lavoratore) ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguente che ne sono derivate”.

In buona sostanza, occorrerà esaminare, di volta in volta, il caso concreto ed appurare in quale fattispecie si ricada, essendovi – come specificato dalla giurisprudenza – casi in cui la responsabilità dell’infortunio può non ricadere, in tutto o in parte, in capo al datore di lavoro.

 

 

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