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Uso di Facebook del lavoratore sindacalista – Legittimo il licenziamento se si superano limiti della correttezza formale imposti dall’esigenza di tutela della persona umana
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Uso di Facebook del lavoratore sindacalista – Legittimo il licenziamento se si superano limiti della correttezza formale imposti dall’esigenza di tutela della persona umana

Cass. Sez. Lavoro Ordinanza n. 35922 del 22 dicembre 2023.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale

L’ordinanza in commento affronta il caso di un lavoratore-sindacalista, il quale aveva pubblicato nella sua bacheca Facebook, in maniera visibile dalla generalità degli utenti, alcuni commenti, a detta del datore di lavoro, gravemente lesivi dell’immagine e del prestigio dell’azienda nonché dell’onorabilità e dignità dei suoi responsabili e di persone notoriamente legate alla azienda medesima. Il lavoratore veniva licenziato sul rilievo che i fatti contestati e ritenuti addebitabili al dipendente, a titolo di dolo o di negligenza grave e ingiustificabile, superavano ogni limite di critica e di satira e impedivano la prosecuzione del rapporto di lavoro.

Sia in primo che in secondo grado la risoluzione veniva dichiarata legittima, di tal che il lavoratore impugnava la pronuncia in Cassazione, con diversi motivi, tra cui il non aver i precedenti Giudici ritenuto la condotta del predetto rientrante nell’ambito del diritto di critica e dunque legittima.

Gli Ermellini, nella sentenza in commento, ribadendo un oramai costante orientamento hanno affermato che  diritto di critica, sebbene garantito dagli articoli 21 e 39 Costituzione incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall'esigenza, anch'essa costituzionalmente garantita (articolo 2 della Costituzione) di tutela della persona umana, (con la conseguenza) che, ove tali limiti siano superati con l'attribuzione all'impresa datoriale o ai suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore possa essere legittimamente sanzionato in via disciplinare (tra le tante, Cassazione 18176 del 2018). Ed infatti specifica la Suprema Corte che “sull'esercizio del diritto di critica, si è riconosciuto, in linea generale, come al lavoratore sia garantito il diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro (...) ma ciò non consente di ledere sul piano morale l'immagine del proprio datore di lavoro con riferimento a fatti non oggettivamente certi e comprovati, poiché il principio della libertà di manifestazione del pensiero di cui all'articolo 21 Cost. incontra i limiti posti dell'ordinamento a tutela dei diritti e delle libertà altrui e deve essere coordinato con altri interessi degni di pari tutela costituzionale" (così Cass. n. 19350 del 2003)”. Ed ancora: “tali limiti al diritto di critica del lavoratore, che sia anche rappresentante sindacale, sono stati ribaditi pur rilevando come il predetto agisca sotto una duplice veste, in quanto "quale lavoratore, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, (mentre) in relazione all'attività di sindacalista si pone su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacche' detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall'articolo 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest'ultimo" (così Cass. n. 7471 del 2012; n. 18176 del 2018)”.

La Corte ha dunque concluso ribadendo la piena legittimità del licenziamento.

 

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